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Malgioglio: “Aiutare il prossimo è la cosa più bella del mondo”

L’ex estremo difensore del Brescia intervistato dalla Gazzetta sul tema dell’onorificenza dal presidente della Repubblica Mattarella

Come già annunciato in precedenza, per l’ex portiere del Brescia Astutillo Malgioglio arriverà un importante riconoscimento: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il prossimo 29 novembre, lo premierà per “il costante e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia”. Il merito? Aver dedicato tempo (e molti soldi) ad aiutare bambini disabili. A La Gazzetta dello Sport, Malgioglio descrive le sue emozioni.

LA NOTIZIA. “Ho appreso il tutto due giorni fa. Ho ricevuto tanto dalla mia vita, che non penso di meritare anche questo. Non so se sono degno di ricevere questa onorificenza, ma voglio condividerla con le famiglie degli angeli che mi hanno dato la possibilità di fare la cosa più bella del mondo: aiutare il prossimo. Ogni volta che ci riesco, mi sento l’uomo più fortunato della Terra. Quando ho ricevuto la notizia ero con i genitori di un bambino disabile, si sono commossi e questo per me è il senso di tutto”.

GLI INIZI. “Ero a Brescia, a 19 anni, e visitai un centro per disabili. Restai impressionato dalla loro emarginazione, per me fu come ricevere un pugno allo stomaco. Iniziai a studiare i problemi motori dei bambini. Poi, col primo ingaggio, aprii una palestra, ERA 77, dalle iniziali dei nomi di mia figlia Elena nata nel 1977, di mia moglie Raffaella e del mio. Offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili”. 

IL CALCIO. “Mi hanno sempre sopportato nonostante fossi un professionista esemplare. Alla Roma c’era Liedholm e il club mi aiutava con i bambini. Poi andai alla Lazio, ma trovai ostilità”. Finché un giorno apparve in curva lo striscione “Tornatene dai tuoi mostri” e Malgioglio pestò la maglia della Lazio, ci sputò sopra e la tirò ai tifosi. “Abbiamo sofferto tanto per le cattiverie subite, ma non rifarei quel gesto”. Poi arrivò lInter di Trapattoni e con l’ingaggio dei nerazzurri ristrutturò la palestra. Infine l’Atalanta, poi il ritiro: “La struttura costava e non volevo far pagare i pazienti. Avevo macchinati, li ho donati, poi ho chiuso la palestra nel 2000”.

NUOVA VITA. “Poi abbiamo proseguito seguendo casi gravi a domicilio. Questo mi ha aperto un mondo umanamente più intenso e appagante. Il rimpianto per la chiusura della palestra è stato sostituito da questo infinito bagaglio umano che ha riempito definitivamente la nostra vita”. Infine sul calcio: “Non ho mai cercato incarichi, anche se a volte sarebbero bastati un ricordo o una telefonata. Ma non rimpiango nulla e mi sento fortunato”.

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