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ESCLUSIVA – Salvioni: “Balo sbagliò a venire a Brescia. Tifosi, aiutate la squadra”

Intervista esclusiva a Sandro Salvioni, ex centrocampista del Brescia a cavallo tra gli anni ’70 e ’80

Bergamasco di nascita, ma bresciano d’adozione. Sandro Salvioni, che in biancoblù ha militato dal 1979 al 1984, fu protagonista di una storica promozione nella sua prima stagione con la maglia delle Rondinelle, indossata in tre diverse categorie nell’arco di cinque stagioni. L’abbiamo raggiunto telefonicamente, per rievocare quegli anni e analizzare il presente del Brescia, reduce da una pesante sconfitta contro il Vicenza.

Partiamo da lei: Brescia ha rappresentato una tappa fondamentale della sua carriera. Che ricordo ha di quegli anni?
“Ricordarsi di tutti gli aneddoti non è semplice, ce ne sono talmente tanti… Ne dico uno: a Bergamo, contro l’Atalanta, io non dovevo giocare. Poi parlai con il mister, gli dissi che era la mia città, mi schierò e vincemmo la partita. Dopo una vittoria in casa, sempre con l’Atalanta, nella quale propiziai anche un gol, prendemmo coraggio e riuscimmo ad andare in Serie A. Grazie soprattutto al presidente Saleri, che non vendette nessuno e diede fiducia all’allenatore. Forse l’aneddoto importante è proprio questo: ricordo un martedì nel quale volle tutti negli spogliatoi, compresi i magazzinieri e i massaggiatori, ed entrando insieme al fratello Francesco ci disse: ‘Io ho fatto questa squadra perché ci credevo, perciò io non cambio nulla, e sono convinto che ce la faremo’. Quell’episodio fu molto bello, perché il presidente ci difese contro tutti, dopo un avvio di stagione molto difficile”.

Un avvio di stagione non semplice per le Rondinelle, tra cambi in panchina e risultati altalenanti. Quale può essere il reale obiettivo di questa squadra?
“Ci sono state molte variazioni sul sistema di gioco, e secondo me questo ha creato molta confusione all’interno dello spogliatoio. Se si crede in un allenatore si va avanti con lui, come facemmo noi, perché altrimenti crei confusione nei giocatori. Poi ci sono calciatori che accettano un determinato sistema perché giocano, altri che non lo fanno perché non giocano. C’è un po’ di malumore all’interno del gruppo, secondo me. Ogni allenatore trasmette il suo metodo alla squadra: io conosco Delneri, e posso garantire che gioca per vincere la partita, non per aspettare gli altri. È normale che all’inizio si faccia un po’ di fatica a digerire un’idea di gioco, ma i giocatori sono dei professionisti, e devono seguire il loro tecnico. Cambiando tre allenatori nel giro di quattro mesi crei solo problemi, soprattutto all’interno dello spogliatoio”.

Si parla molto di Torregrossa (e di Donnarumma) in chiave mercato. Secondo lei il Brescia può prescindere da questi giocatori?
“È tutto da valutare. Bisogna capire se i due ragazzi hanno ancora voglia di rimanere a Brescia: dopo qualche anno uno deve anche cambiare aria. Anche perché se hanno delle prospettive importanti in Serie A, non gliele puoi negare. Se invece accettano di rimanere, perché vogliono trascinare la squadra in Serie A, occorre fargli capire quanto siano importanti all’interno del gruppo. Ma devono essere positivi con i propri compagni”.

Cosa si aspetta quest’anno da Balotelli, lei che per primo lo lanciò a Lumezzane? Può ambire ancora alla Nazionale?
“Penso che possa tornarci, ma dipende da lui. Anche perché Mancini non guarda la categoria: se un giocatore merita, viene chiamato. Sono convinto che farà bene, anche perché è andato in un ambiente che conosce, e sa che Berlusconi e Galliani credono molto in lui: questo è importante per un giocatore. Poi ho letto alcune interviste dei giocatori del Monza, che hanno dichiarato di non aver mai visto nessuno fare le cose che fa lui in allenamento”.

Poi, se sta bene, è di un’altra categoria in Serie B…
“Sì, ma deve stare attento, perché in B c’è da correre e darsi da fare. Ti possono anche ‘picchiare’. Ma sono convinto che farà bene, e sono sicuro che Mancini lo richiamerà in Nazionale se dimostrerà il suo valore”.

L’ultima esperienza felice per lui è stata a Nizza.
“Gli volevano bene tutti, mi hanno sempre parlato positivamente di lui. Dopo Marsiglia è arrivato in Italia, ed è andata com’è andata. Ha sbagliato, secondo me, a venire a Brescia. Ricordo che ai tempi di Lumezzane scappava sempre via in bicicletta: all’inizio mi diceva ‘mister, devo andare a studiare’, poi lo presi da parte e mi confessò che andava a giocare a calcetto con i suoi amici all’oratorio. Io trattenni una risata, e gli risposi: ‘Ma sei matto? Guarda che puoi farti male, è un periodo importante per te’. Lui mi rassicurò dicendomi che i suoi amici sapevano di non doverlo ‘picchiare’. Come andò via, mi misi a ridere. Poi lui è molto simpatico, è un ragazzo da spogliatoio, fa battute e ride: quando trova l’ambiente adatto a lui, ovviamente. Mi bastarono cinque minuti per portarlo in prima squadra: aveva quindici anni, ma sul campo ne dimostrava trenta. Il suo allenatore mi disse che non poteva venire con noi a Padova per motivi legati all’età, ma dopo aver risolto le pratiche burocratiche con la Federazione lo convocai. Entrò a mezz’ora dalla fine: non segnò, ma guadagnò il corner da cui scaturì il gol-vittoria”.

Cosa si sente di dire ai tifosi del Brescia?
“Voglio dirgli che il loro aiuto è fondamentale, anche nei momenti di difficoltà. Ricordo che quando giocammo la partita decisiva per ottenere la promozione in Serie A, dopo il mio gol decisivo, entrarono tutti in campo. In un’intervista dissi: ‘Questo gol non l’ho fatto solo io, l’hanno fatto tutti i miei compagni, lo staff, la società, e soprattutto il pubblico’. È in quei momenti che i tifosi sono fondamentali per i giocatori”.

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