Ghirardi: “Al Brescia serve un gruppo di imprenditori, nel 2006 feci un’offerta a Corioni”

L'ex presidente del Parma ha parlato del futuro del Brescia, svelando un retroscena

Tommaso Ghirardi, ex presidente del Parma, ha rilasciato un’intervista esclusiva al Giornale di Brescia nel corso della quale ha parlato del presente e del futuro del Brescia, oltre che della figura del presidente Massimo Cellino.

CELLINO – “Massimo Cellino è forse uno dei pochi professionisti nel mondo del calcio. È arrivato a Brescia, ha fatto inizialmente molto bene, ha costruito il centro sportivo, ha sistemato lo stadio e ci ha portato in Serie A. Sicuramente adesso sta vivendo delle stagioni molto tribolate. Lui è stanco e ha delle difficoltà nella gestione di questa società. Oggi bisogna fare quadrato: la qualità della squadra e il ritorno di Maran possono essere degli elementi di fiducia per l’imminente futuro. Questo è un messaggio anche allo stesso Cellino. Che lui voglia vendere è palese, il suo percorso qui è finito, però bisogna trovare chi ha le caratteristiche di poter portare avanti una società importante come il Brescia”.

IL BRESCIA – “Questo è vero e dispiace perché Brescia economicamente ha delle grosse potenzialità. Penso che l’imprenditoria bresciana debba fare una riflessione, debba pensare se conviene rimanere sempre piccoli ma soli, cioè comandare e essere protagonisti delle proprie attività, delle proprie squadre, o se fare un salto di qualità. È chiaramente difficile. Io stesso sono partito con il Carpenedolo in terza categoria e ho vinto tanti campionati, ma ho capito che una volta arrivato in Serie C è praticamente impossibile riuscire a salire in categorie superiori, ma soprattutto ho capito che è un costo enorme, cioè il fatturato è il costo”.

IL FUTURO – “Se ci fosse la maturità da parte nostra, di noi imprenditori, di fare un passo indietro a livello di personalità e magari un passo in avanti a livello di attaccamento alla nostra città e alla nostra provincia, si potrebbe anche fare qualcosa di bello. Vuol dire creare un consorzio, un gruppo, una struttura che avesse come riferimento le istituzioni locali per far diventare Brescia dei bresciani, ma non di dieci imprenditori, ma dei bresciani. Il sogno sarebbe quello che ci fossero cento imprenditori e qualche migliaia di azionisti tifosi. Ma guardate che questo non è un miraggio, è una cosa reale, perché ci sono tante società che già lo fanno, soprattutto all’estero. Ma voglio citare anche la Pallacanestro Treviso, che ha avuto un passato glorioso e poi è rinato con un consorzio. Adesso dico una cosa che magari i miei amici presidenti di altre squadre mi criticheranno, ma il Brescia dovrebbe essere al centro di un progetto che possa servire anche a Lumezzane, Salò, perché queste società potrebbero essere più autosufficienti beneficiando di quello che è il vivaio del Brescia”.

LA BRESCIANITA’ – “Bisogna spersonalizzare la figura del presidente o del patron e mettere in primo piano la brescianità. Noi dovremmo riuscire ad essere i rappresentanti, il Brescia dovrebbe essere lo strumento che rappresenta l’industria bresciana in Italia e nel mondo, in Europa. Io quando penso a questi progetti immagino a un Brescia con un Consiglio di amministrazione di 10-15 persone e con un presidente che possa essere anche una persona istituzionale, che rappresenti il territorio. E poi creare magari dei tavoli per fare anche del business in Europa e nel mondo, perché Brescia ha la possibilità di farlo, ha delle realtà internazionali. E perché non può farlo con il calcio?”.

L’OFFERTA A CORIONI – “Lo posso dire a distanza di anni. Nel 2006 avevo presentato una proposta a Corioni prima di rilevare il Parma. Corioni, giustamente per quelle che erano le sue idee, non ha accettato. Feci un’offerta che era del doppio superiore a quello che mi è costato l’acquisto del Parma, perché era la prima società a cui avevo pensato e nella quale avevo sognato di poter essere presidente. Oggi però non si può più fare. I costi di gestione di un club sono impossibili. Ripeto, non è pensabile ancora credere che tre, quattro imprenditori più importanti comprino il club. Anche perché è matematicamente e economicamente sconsigliato: vuol dire mettere a rischio tutto il tuo patrimonio. Bisogna agire in gruppo”. ​​​​​​

 

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